La memoria tra mito, poesia e scienza: un viaggio oltre il tempo e lo spazio

Sono figlio della terra e del cielo stellato…

Così inizia la formula di riconoscimento dettata da Mnemosyne al miste dissetato alla sacra fonte prima di accedere alla via dei misteri oltremondani. La natura uranica dell’uomo, tramandata dalla dottrina orfica, viene così restituita in una declinazione teosofica e filosofica nella speranza di ottenere una giustificazione alle sofferenze della vita terrena, non perché eludente la morte, bensi perché sapiente. Figlia della Terra e di Urano, Mnemosyne è dea creatrice, quindi artefice di vita; reifica per suo dettato divino tutto ciò che è scaturigine del pensiero e perciò è madre delle muse ispiratrici, presidio mnesico dello spirito di vati e di sapienti.

Durante la prima metà del Novecento il poeta italiano Dino Campana con i suoi “Canti Orfici” ha tradito un inno dai recessi profondi dell’animo umano in cui, proprio attraverso la memoria rivisita, sulla traccia dell’eterno ritorno nicciano, la natura spirituale dell’uomo al di là dell’episodico transito terreno.

Nascono in questo stesso periodo gli studi sulla fisica quantistica di Max Plank e poi di David Bohm, fondativi delle teorie sui Campi morfici e morfogenetici di Rupert Scheldrache in cui il senso dell’esperienza, mediata sempre dalla memoria, riformula a livello subatomico la genesi delle forme e dei comportamenti biologici all’interno di un modello creduto fino allora appannaggio deterministico del solo DNA. Al di fuori di qualsiasi approfondimento epistemologico sui temi appena citati, questa plaquette di poesie intitolata “Canti morfia?’ insieme ai quadri del pittore Massimo Faccini, consonano la eco di una devozione nei confronti della memoria che dall’alba della civiltà ad oggi ottempera alla sacralità della vita oltre il tempo e lo spazio sesibili.

L’arte entra ancora oggi a pieno titolo in quel programma che lo stesso Scheldrake ha chiamato “olografico” dove il sapere in tutte le sue declinazioni e sopra la pregiudiziale dicotomia metodologica tra arte e scienza, vive in una sola forma sinottica vivificata dall’esperienza, ne modifica il tempo passato, presente, futuro e lega universalmente, come il filo di una collana, tutta la creazione nella sua nostalgica e drammatica bellezza.

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